18 aprile 2019

Recensione "Waiting" di Daniel Di Benedetto.


Trama

Tutti siamo in perenne attesa.

Qualcosa che potrebbe accadere. Qualcuno che deve arrivare o partire, magari per sempre.

Una vecchia panchina di legno, all’ombra della grande quercia in un parco comunale, è il palcoscenico delle storie che si muovono capitolo dopo capitolo.
Un susseguirsi di personaggi che si incontrano, si sfiorano, si sfuggono, rappresentano le varie fasi della vita e le diverse sfumature dell’attesa.
Una storia dall’andamento circolare, che si svolge nell’arco temporale di una settimana e che vede il suo inizio e la sua fine tratteggiati dagli stessi occhi innocenti, quelli di una bambina in attesa del ritorno del padre.
Un sorriso, una carezza, un’assenza, un dolore. C’è spazio per ogni emozione, seduti giorno dopo giorno su quella panchina.
Oggi verso il domani, semplicemente aspettando…

Recensione a cura di Silvia M.

Non avrei mai immaginato di potermi sentire parte di un libro come in questo romanzo fatto di un susseguirsi di racconti che tuttavia non sono indipendenti l’uno dell’altro. Hanno qualcosa che li lega e la fine di ogni singolo racconto rappresenta l’inizio di quello successivo. Mi sono trovata lì, in quel parco dove si svolgono le scene, ad osservare una vecchia panchina consumata dal tempo, all’ombra di una grande quercia. Quella panchina rappresenta la metafora della vita, la vita che scorre, che è fatta di storie e di tanti sentimenti. In quella panchina ci sono tante incisioni e tanti nomi. Ciascuna incisione riporta ad una storia e in ogni storia c’è raccontata la vita con i suoi amori, le delusioni e le amarezze. La vita fatta di errori e di parole non dette, di promesse fatte e non mantenute. La vita fatta di amicizie, di sentimenti dolcissimi e lontani nel tempo. La vita è fatta di sofferenze, di abbandoni e di attese…

“Quel particolare silenzio fatto di attimi e di attese di ogni genere che si riusciva a cogliere appieno soltanto da quell’unica panchina di faggio all’ombra della grande quercia rimaneva un mistero insoluto e un irresistibile richiamo per molti.”
Il tutto raccontato con un’ incredibile delicatezza, con una penna fluida, con uno stile leggero che ha la non comune capacità di calare il lettore nel contesto, portarlo in quel parco, ad osservare silenzioso, commosso o divertito, le storie e i personaggi che si avvicendano con i loro racconti.
C’è la piccola Giulia “affascinata da quella miriade di scritte, graffiti e incisioni varie che scandivano il passaggio di altrettante vite differenti, ognuna con la propria storia…”
Potreste leggere la storia di due giovani innamorati “dolcemente abbracciati su quella vecchia e sgangherata panchina di faggio che prima di loro aveva visto passare e fermare attimi di esistenza”. Conosceremo e saremo conquistati da Anna e Gianluca, ragazzi semplici con tanti sogni per la testa.
C’è un racconto che ho amato più degli altri, quello che vede come protagonista il gatto Rufus. “Pelo rosso e corto, sguardo all’apparenza mansueto e docile, occhi buoni e dolci. Era stato per parecchio tempio l’amico del cuore del piccolo Lele. Poi, un giorno, all’improvviso, qualcosa era cambiata nella vita di Lele e di Rufus non si curava più nessuno, anzi “gli umani, strana razza” non ne avevano avuto più cura e come una scarpa vecchia lo avevano messo da parte. Rufus si era ritrovato solo, senza casa e senza Lele. E sotto quella panchina, diventata suo temporaneo rifugio, sotto una pioggia incessante, osservava gli umani, ricordando che anche lui, un tempo, aveva avuto a che fare con le loro follie.
Io mi trovo lì, a leggere la sua storia e vorrei avvicinarmi a Rufus e accarezzarlo e confermargli che sì, l’uomo è un po' folle e meno fedele e riconoscente in amicizia di quanto non lo sia un cane o un gatto.
Vorrei sedermi accanto a Stephanie, delusa dalla vita e dall’amore, da Giuliano che le aveva fatto tante promesse e poi era sfumato come una bolla di sapone, e parlare con lei.
Questa è però un’altra storia. Chiudo questo libro avendo la certezza che lo rileggerò più avanti.
Vi lascio con un ultimo estratto.
“Non è vero che ci si dimentica di tutto e di tutti. Qualcosa rimane sempre, impigliato nelle pieghe nascoste di qualche scheletro, nell’armadio della nostra vita.”



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