Parliamo di FILIPPO MAMMOLI toscano Doc che mi ha incantato con la sua simpatia, cinque giorni sono lunghi e faticosi, ma quando la compagnia è tanto perfetta, la stanzachezza passa in secondo piano.
Bando alle ciance presentiamo l'esordio di Filippo con la DARK ZONE EDIZIONI, lo facciamo il grande stile al Salone Internazionale del Libro di Torino 2019... ci piace fare le cose per benino in DZ....
Curiosi?
Si parte.....
FILIPPO MAMMOLI
OLTRE LA BARRIERA
Sinossi
Pena di morte per omicidio di primo grado: è questo il verdetto che emette il tribunale di Lafayette, in Louisiana, contro il ricercatore italiano del MIT Lorenzo Rossi. Nell’angoscia dei giorni senza speranza trascorsi nel braccio della morte, Lorenzo ottiene dal fanatico direttore del penitenziario, Carl Sain, di poter scrivere un diario. Ma quando Susan Taylor, la moglie di una delle guardie carcerarie, si imbatte per caso in quelle pagine, capisce che qualcosa non torna. E comincia un’indagine personale che la porterà a svelare i contorni inquietanti di una storia dove scienza e pregiudizio si intrecciano in un gioco pericolosissimo. Finirà così per scoprire i dettagli di un esperimento scientifico mai tentato prima, un’esperienza rivoluzionaria destinata a spostare gli equilibri tra la vita e la morte. Improvvisandosi detective per ingaggiare un’avvincente lotta contro il tempo, Susan spera di recidere il cappio che si stringe ogni giorno di più intorno al collo del fisico italiano.
Estratto
1 – dal diario di Lorenzo Rossi
Il
concetto stesso di tempo qui assume un valore e un significato diverso da
quanto avviene fuori. Sembra così dilatato da svanire, come nelle equazioni
della fisica quantistica che ho studiato per una vita. Mai come ora ho
avvertito il tempo come un’inutile successione di giorni uguali uno dietro
l’altro, una folle corsa verso la morte, come nella canzone Time dei Pink Floyd.
Mi
rendo conto che sto scrivendo in modo compulsivo, ma non ho nessun obiettivo
particolare da conseguire, non lo sto facendo per nessuno e non mi prefiggo
alcuno scopo. Devo scrivere e basta. Lo devo a me stesso, a quello che sono
adesso e che sono sempre stato. Lo devo ai miei genitori e a quello che mi
hanno insegnato. Lo devo alla scienza che ha ispirato e guidato come un faro
tutte le mie azioni e i miei convincimenti.
«Speranza»,
qui dentro, è una parola vuota, un suono spogliato di ogni significato e questo
lo si percepisce appena si intravedono in lontananza i confini della prigione
delimitati da un’alta rete elettrificata sormontata da un filo spinato.
Questa
immagine ha richiamato subito alla mia mente i campi di sterminio nazisti di
Auschwitz o Mauthausen. La mia tenacia mi vieta di arrendermi e la storia mi
insegna che alcuni sono usciti vivi, anche se malconci, persino da quei luoghi
dell’orrore. Devo impormi di fare tutto il possibile per restare in vita e
presente a me stesso fino al giorno dell’esecuzione.
La mia cella, come del resto quella di ogni altro
detenuto nel braccio della morte all’Angola, è una stanza rettangolare di circa
due metri per tre, con un letto, un tavolino, una sedia e un gabinetto. La
sensazione di soffocamento è resa ancor più pressante dal caldo insopportabile.
L’aria condizionata è un lusso che non viene concesso ai detenuti. La cella
prende luce da un minuscolo oblò situato nella parte alta della parete di
fondo, quella opposta alla porta. È un cerchio di una ventina di centimetri di
diametro, senza sbarre perché troppo piccolo per essere attraversato e chiuso
da un vetro anti proiettili di circa dieci centimetri di spessore.
Estratto
2 – Susan Taylor
Sono qui, nella sala dei colloqui della prigione di Stato
della Louisiana, in attesa di Lorenzo. Sento addosso gli occhi delle guardie
armate. Stanno solo facendo il loro lavoro, come anche Edward avrà fatto
centinaia di volte. Ma non riesco ad abituarmi. Fin qui è andato tutto bene.
Come mi aveva assicurato Francis Chamberlain, nessuno si è preso la briga di
verificare la mia identità. Solo controlli visivi e perquisizioni. Ma quando
hanno chiuso l’ultima inferriata dietro le mie spalle, ho provato una strana
sensazione. E non era piacevole.
Ecco Lorenzo, lo stanno portando da me. È più alto e
magro di come lo immaginavo e poi non porta occhiali. Chissà perché mi ero
fatta l’idea che li avesse.
«Buongiorno.»
«Buongiorno signora... avvocato... Hutton» ha detto
leggendo il cartellino che ho spillato sulla giacca. «Immagino che lei sia
l’aiutante dell’avvocato Chamberlain. Le devo dire per onestà che avrei preferito
parlare con lui, anche se ’preferire’ appartiene a una categoria di verbi che
sento molto distanti da me in questo momento.»
«Non ho argomenti per darti torto e non voglio stare qui
a dire che ti capisco. So benissimo che è inutile. Non sono un avvocato, non mi
chiamo Vanessa Hutton e non lavoro per Francis Chamberlain. Sono Susan Taylor e
questo falso cartellino me lo ha procurato l’avvocato che è un vecchio amico di
Edward, per avere modo di ottenere un colloquio con te restando in incognito.»
«Allora... sei tu che... non so cosa dire. Perdonami.
Avrei mille domande da farti, ma in questi dieci minuti dovrò scegliere
attentamente cosa chiederti e io...»
«Non preoccuparti. Non ti nascondo che provo anch’io una
forte emozione a incontrarti e vederti di persona. In queste settimane ho
imparato a conoscerti, ma averti di fronte è diverso. Solo ora mi accorgo che
non avevo mai visualizzato la tua faccia. Però lascia parlare me, poi mi
chiederai quello che vuoi e ti risponderò se possibile. Stento ancora a credere
a quello che sta succedendo, posso solo immaginare quanto sia difficile e
assurdo per te. Sei riuscito a farti un’idea dalle poche righe che Edward ti ha
lasciato? E ti sembra una ricostruzione plausibile? Vorrei solo conoscere la
tua impressione.»
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