09 dicembre 2019

Storie di donne: Rita Levi Montalcini



“Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”
Rita Levi Montalcini

Quando con Daniela Ruggero abbiamo pensato a creare “Storie di donne” , abbiamo stilato un elenco  a cui ci è sembrato doveroso dedicare la nostra attenzione, donne che hanno lasciato un segno nella storia. Quando Daniela mi chiese a chi volessi dedicare il mio primo articolo, non ho avuto dubbi.
Ho deciso di iniziare da una donna straordinaria, immensa, per la quale nutro profonda ammirazione.

Sto parlando di Rita Levi Montalcini.




Poche righe non bastano per descrivere la grandezza di questa donna che ha fatto dell’amore per la cultura e dell’impegno per la scienza la sua missione, la sua vera ragione di vita.

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine.”

Rita Levi Montalcini era nata a Torino nel 1909 a Torino. Era figlia di colti borghesi di origine ebraica e all’età di vent’anni entra alla scuola medica di Levi e si laurea nel 1936.
Rita studia e si laurea in un periodo storico in cui erano poche le donne istruite, in cui al contrario era ancora alto il tasso di analfabetismo e la donna sembrava avere come maggiore ambizione un buon matrimonio. Nel peggiore dei casi, la donna era costretta a contrarre matrimoni combinati con perfetti sconosciuti, rivestendo esclusivamente il ruolo di madre e di moglie.
A causa delle leggi razziali emanate dal regime fascista nel 1938, Rita è costretta ad emigrare in Belgio. Seguiranno anni difficili e travagliati, quelli della seconda guerra mondiale, in cui di certo non c’era spazio per le ricerche scientifiche.
Donna dotata di una grande forza d’animo, aveva saputo affrontare con coraggio i momenti più difficili della sua vita, come quello della discriminazione razziale tanto da affermare di “…non temere i momenti difficili, il meglio viene da lì.”

Rita però dimostra una grande determinazione nel proseguire la sua carriera accademica come assistente e ricercatrice in neurologia e psichiatria. Per fare ciò sarà costretta a girovagare, prestando la sua collaborazione come medico volontario tra gli Alleati.

Negli anni seguenti, l’America sarà per Rita la sua seconda casa. Lì vivrà fino al 1977 rivestendo incarichi prestigiosi, diventando professore di Neurologia.
Tra il 1951-52 scopre il fattore di crescita nervoso, noto come NGF. Per circa trent’anni dedicherà il suo studio e le sue ricerche a questa molecola proteica e al suo meccanismo d’azione.
Grazie al suo impegno, allo studio e alla determinazione giunge a delle importanti scoperte in questo campo, tanto che nel 1986 le viene conferito il Premio Nobel per la medicina con la seguente motivazione:
La scoperta del NGF all’inizio degli anni ’50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo,”
Rita Levi Montalcini è stata membro delle più importanti accademie scientifiche internazionali, è stata sempre attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine antiuomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società.
Nel 1992, assieme alla sorella gemella Paola, istituisce la fondazione Levi Montalcini in memoria del padre, rivolta alla formazione e all’educazione dei giovani.
Con la fondazione conferisce borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario allo scopo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese.
Rita affermava: “A vent’anni volevo andare in Africa per curare la lebbra. Ci sono andata da vecchia, ma per curare l’analfabetismo che è molto più grave della lebbra.”
Una donna forte dal pensiero assolutamente affascinante che è morta a 103 anni nel dicembre del 2012.
Mi piace concludere con un altro dei suoi pensieri:
“Credo che il mio cervello, sostanzialmente, sia lo stesso di quando ero ventenne. Il mio modo di esercitare il pensiero non è cambiato negli anni, E non dipende certo da una mia particolarità, ma da quell’organo magnifico che è il cervello. Se lo coltivi, funziona. Se lo lasci andare o lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare.”



 Silvia Maira



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