
La sera in cui a Liliana viene detto che non potrà più andare a scuola, lei non sa nemmeno di essere ebrea. In poco tempo i giochi, le corse coi cavalli e i regali di suo papà diventano un ricordo e Liliana si ritrova prima emarginata, poi senza una casa, infine in fuga e arrestata. A tredici anni viene deportata ad Auschwitz. Parte il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della stazione Centrale di Milano e sarà l’unica bambina di quel treno a tornare indietro. Ogni sera nel campo cercava in cielo la sua stella. Poi, ripeteva dentro di sé: finché io sarò viva, tu continuerai a brillare. Questa è la sua storia, per la prima volta raccontata in un libro dedicato ai ragazzi.
Fino a quando la mia stella brillerà
Non ci sono parole per descrivere quello che ho
provato leggendo questa testimonianza.
Liliana Segre racconta la sua terribile esperienza,
quella di essere stata rinchiusa a soli 13 anni ad Auschwitz, strappata
all’affetto della sua famiglia e del suo adorato papà.
Non tutti i libri sono facili da recensire, questo non
lo è, perché è un libro che lacera l’anima e il cuore.
Liliana Segre ha idealmente diviso la sua narrazione
in due parti. La prima racconta la vita felice di una bambina serena, amata dai
nonni e dal padre che hanno cercato di crescerla e coccolarla nonostante la
morte della madre quando la bambina era ancora piccola.
E poi la seconda parte della sua vita quando, in
seguito alle leggi raziali, le fu impedito di andare a scuola. Leggi raziali
che la fecero divenire lentamente invisibile agli occhi di quelli che fino a
una manciata di giorni prima erano stati amici.
Ciò che mi ha colpito, al di là di tutto il dolore che
si percepisce da queste pagine, sono le parole della Segre, quando dice che la
vergogna delle leggi raziali si è consumata nell’indifferenza generale.
Per gli ebrei la vita era cambiata, gli altri
continuavano normalmente, come se nulla stesse cambiando, come se gli ebrei non
esistessero.
Così nell’indifferenza generale, si è consumata la più
grande vergogna del genere umano, in cui gli esseri umani, marchiati con dei
numeri, furono trattati come cose. Liliana venne progressivamente privata della
scuola, della casa, degli amici, della sua vita e infine dei suoi affetti più
cari.
Ridotta pelle e ossa, scampata al gas per pura
fatalità più di una volta, si trasformò da bambina giocosa e felice, in una
ragazza rabbiosa e arrabbiata, ma non ha mai perso di vista se stessa. Lei era
un essere umano, nonostante al campo la trattassero come un animale. La sera,
quando era sola, parlava con una stella, un momento che le ricordava chi era e
cosa voleva.
In mezzo a quello scenario di morte e dolore lei
voleva vivere e sebbene avesse la certezza di essere sola al mondo, che il suo
amato padre non l’avrebbe più rivisto, lei desiderava tornare alla vita
normale.
Quando gli americani liberarono gli ebrei dai campi di
sterminio, Liliana poté lentamente tornare alla realtà, ma non era più la
stessa persona.
Non fu più la Liliana di prima sebbene la sua vita sia
andata avanti. Le vita le ha donato una famiglia, un marito e dei figli, ma una
parte di lei è rimasta in quel campo.
Ha deciso di diventare testimone di ciò che ha vissuto,
ha girato per le scuole, ha incontrato gli studenti e ha raccontato la sua
vita, consapevole che c’è qualcosa di veramente pericoloso da sconfiggere e
cioè i negazionisti della Shoa.
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