IL MONDO DI DAISY FRANCHETTO
BIOGRAFIA
Daisy Franchetto è nata
a Vicenza, città intrisa di grazia palladiana, ma vive a Torino, città del
mistero. Si occupa di counseling.
La scrittura è una
passione nascosta che ha iniziato a coltivare tardi.
Ciò che scrive nasce
dalle esperienze vissute: il lavoro nelle comunità psichiatriche e per
disabili, i viaggi come volontaria in zone di guerra, l’impegno per la difesa
dei diritti umani. L’ascolto delle persone in difficoltà e, prima ancora,
l’ascolto di se stessa. Il mondo onirico e la ventennale attività di scavo
nella psiche.
Da un paio d’anni
gestisce il blog The Dayseyes nel quale ospita la rubrica Interviste oniriche, angolino semiserio dedicato ad autori,
illustratori, blogger e altre creature fantastiche.
Lunar camminava nella
notte umida da un tempo che sembrava infinito. La strada sterrata era bagnata e
piena di sassi. Il piede scalzo si irrigidiva ogni volta che incontrava una
pietra aguzza; l’altro, invece, la scarpa ce l’aveva. I capelli, lisci e lunghi, le si
appiccicavano sulla faccia, le ciocche bagnate aderivano al viso come fossero
nastri. L’occhio sinistro era quasi
chiuso e il labbro inferiore era gonfio. La giovane donna respirava in maniera
affannosa e a tratti un brivido le correva lungo la schiena. L’abito era sporco
di terra e strappato. Lo aveva comprato per andare alla festa dei sedici anni
di Laura e lo aveva scelto dopo una lunga ricerca, svolazzante tra movimenti di
stoffe e girovagare di colori in un piccolo negozio. Era un vestito perfetto, lei lo adorava.
Quella sera era tornata a casa felice e aveva fatto vedere a tutti il suo
vestito nuovo. Era bella Lunar quando rideva. Adesso non pensava a nulla.
Camminava, camminava e basta. Come se, di tutto il corpo, l’unica cosa che funzionasse
davvero fossero le gambe piene di escoriazioni. Non c’erano emozioni, pensieri,
immagini, sogni, odori, ricordi. Lunar era stata violentata.
Un sogno ricorrente.
Ancora una notte, ancora
quel sogno, ancora quelle immagini. Sempre le stesse, da tre anni. Ogni volta
si aggiungeva un particolare che completava il quadro, ogni volta si svegliava
con la stessa nostalgia e la voglia di tornare a casa. Anche se non sapeva dove
fosse, ormai, la sua casa. Il sogno iniziava sempre allo stesso modo. Vedeva i
suoi piedi decorati con bellissimi tatuaggi color argento. Camminava
calpestando candida sabbia, morbida come velluto e fresca. Le minuscole pietre
che si mescolavano alla distesa sabbiosa riflettevano i bagliori notturni,
allora alzava il capo a contemplare il cielo, sconfinato. Una stella cadente
solcava la volta celeste, lasciando una scia luminosa che si dissolveva
riassorbita dalla notte. All’orizzonte le Tre Lune sorgevano allineate.
Tornando ad abbassare lo sguardo, poteva osservare la vastità del Deserto di
Muna, volgendosi a est, l’immenso Bosco degli Alberi Neri e a nord in
lontananza la sagoma scura del Palazzo con le sue guglie e le torri. Una risata
sgorgava argentina dal centro del suo cuore. Ecco la sua casa, ecco il regno
cui apparteneva. Poi una scossa sotterranea la faceva trasalire e un brivido le
percorreva la schiena. Guardando a terra vedeva con orrore che la sabbia aveva
lasciato spazio a una voragine che correva lunga e profonda verso il Palazzo.
LINK
La crepa nera sembrava
portare al centro stesso della terra. Lei restava a guardare inorridita
l’oscurità, mentre una voce tetra saliva dal nulla. Si svegliava proprio prima
di cogliere ciò che la voce diceva. E fu a quel punto che si svegliò anche
quella notte. Riaprì gli occhi di scatto sentendosi perfettamente sveglia e
lucida, assalita da quel desiderio viscerale di raggiungere la terra sognata,
di salvare quel che restava di un mondo perduto. Rimase sdraiata e immobile ad
ascoltare il ticchettio incessante della pioggia sul lucernario. L’appartamento
in cui abitava da qualche mese era immerso nel buio. Sinbad era sdraiato al suo
fianco, il costato si gonfiava e sgonfiava al ritmo tranquillo del respiro.
L’animale aprì gli occhi. « Non riesci a dormire ? » « Ho fatto di nuovo quel
sogno, ma non capisco mai cosa dica la voce. » « Non avere fretta », la ammonì
il cane. « Dopo tre anni che faccio lo stesso sogno ? No, non c’è fretta », rispose
lei sarcastica. « Abbi pazienza Lunar. Il tempo è ormai prossimo. » « Speriamo
», sospirò lei, « proverò a dormire ancora un po’. »
Il mio nome è Sinbad.
Vengo da una Dimensione lontana e semisconosciuta. La mia anima è antica e il
mondo cui appartengo è un luogo tanto lussureggiante quanto terribile. Le
piante si cibano dell’inconscio di chi si trova a passarvi accanto, restituendo
agli incauti visitatori fiori che celebrano sogni nascosti e incubi
sconosciuti. Tutti nella mia terra sono venuti a patti con il lato più celato
della propria anima. Anch’io. Sono il figlio secondogenito del Re Che Non Ha
Nome e non sono mai stato destinato a regnare. Mio fratello maggiore era
designato alla carica di futuro re, ma la sua brama di potere e l’inclinazione
a tessere trame nascoste l’hanno condotto all’esilio. Da quando se n’è andato,
non abbiamo più avuto sue notizie e, nonostante il male che mi ha fatto, ancora
penso a lui. Ho amato una sola donna, ma la nostra felicità è stata distrutta
dalla maledizione scagliata da una strega. Ho perduto colei che amavo e sono
stato condannato a cercarla nello spazio infinito delle Dimensioni sotto sembianze
animali. Quando infine ci siamo ritrovati, lei non poteva riconoscermi e io non
potevo rivelarle la mia identità. Ho passato tre anni vicino a lei, senza mai
poterla sfiorare. Tre anni di amore confuso con l’affetto. Tre anni che ci
hanno avvicinati alla mia fine. Poco prima che chiudessi gli occhi sulla vita,
ha capito chi ero. Troppo tardi per salvarmi, abbastanza perché potessi
pensare, ancora una volta, che l’amavo. Siamo di nuovo lontani, forse per
sempre. Mi chiamo Sinbad e il mio corpo giace nella Terra dei Morti, vegliato
da una regina misteriosa. Mi chiamo Sinbad e la mia anima non è morta.
ILLUSTRAZIONE
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